venerdì 13 maggio 2011

ALI 6 - Una breve interazione.

Un grande poeta o un grande artista non si fa mai soggiogare da ragioni esclusivamente formali nella composizione delle sue opere; anzi, con un singolare atto di parole o segni, è in grado di piegare la forma al contenuto che si era proposto. La Scuola di Costanza, in particolare nelle personalità culturali di maestri come Hans Robert Jauss e Wolfgang Iser, ha studiato le modalità della ricezione del testo letterario e del dipinto sottolineando la presenza di larghi margini di “indeterminatezza” al fine che il fruitore sia sempre chiamato a riempire quei vuoti, a partecipare alla costruzione del testo o della tela, in modo che da ciò possa nascere un comune piacere estetico. Da queste istanze e forti asserzioni ha preso vita la rivista d’arte, letteratura e idee ALI che dirigo, ai lavori della quale partecipano alcuni dei giovani artisti e poeti fautori di questo stimolante progetto d’insieme: ULTRANOVECENTO.
Le correnti critiche che privilegiano il ruolo della forma, in particolare lo Strutturalismo e il Neostrutturalismo, si sono, in questi ultimi anni, rifiutate di ricorrere a principi ‘morali’ ritenendoli inapplicabili al loro oggetto di studio, ma ciò è sbagliato perché oltre ad andare a precludere la possibilità di convivenza tra Etica ed Estetica si viene a negare la possibilità di esaminare, in accezione interdisciplinare, l’insieme di più fonti creative in dialogo o a confronto al fine di giungere a quella “Teoria della Semiosi” consacrata da Charles Morris.

Il Tutto deve quindi convivere in ambito espressivo, altrimenti si rischia il ‘settarismo’ intellettuale e si viene a conclamare, negativamente, quel concetto di ‘limite’ che tanto va stretto a ogni buon fautore. Affermato questo, non posso che osteggiare le posizioni di un pur bravo intellettuale come Cesare Segre che, lamentando la “decadenza morale” della nostra epoca, dichiara che lo scrittore o l’artista ha l’obbligo di veicolare valori morali ed esprimere la sua posizione in modo tanto chiaro quanto gli è possibile, arginando, così, le componenti sempre vive derivate dal Mistero o dal Sacro o dal Magico o dal Mistico che l’opera in sé deve, secondo me, assolutamente includere. Insomma, la dittatura della forma sul contenuto (per usare termini diretti), il virtuosismo fine a se stesso, ammalia e seduce, ma è vacuo e destinato alla caducità; inoltre è eticamente riprovevole per il tipo di rapporto che viene a instaurare col fruitore: “perché fascinandolo, lo distrae dalla profondità” (così scriveva Leon Battista Alberti).

Perciò, per superare un certo ’900, non ci rimane che dare vita a una doppia serie di voci che infine vanno a interagire fra loro, donandoci risultati di indubbia potenza evocativa: da un lato concettuali, come “semiotica”, “simmetria”, “segno”, “verità-vero”, “significato”, “sentimento” etc.; dall’altro storiche, come “umanesimo”, “romanticismo”, “simbolismo”, “realismo” etc., che si affacciano, volta per volta, o simultaneamente, sui due domini - letterario e artistico - messi costantemente a confronto in un sistematico lavoro di integrazione che, appunto, non si trova nei lessici settoriali. A tal proposito mi sovviene il tema oraziano dell’ut pictura poësis (Ars poetica, v. 361) colto nel suo divenire attraverso la ripresa umanistica (di nuovo Leon Battista Alberti) e rinascimentale (Leonardo), fino alla rivoluzione dell’ultimo Mallarmé (Un coup de dés jamais ne abolira le hasard, 1897) che apre la strada a tutte le sperimentazioni delle avanguardie storiche e delle neoavanguardie.

Solo così l’Arte (nella sua totalità) ci rivela la Realtà come complessa e problematica, suggerendo relazioni inedite fra le sue componenti e suscitando un modo rinnovato di vedere le cose contro le aspettative cristallizzate nell’abitudine percettiva e nelle ipostasi tipiche dei filosofi. E in tale condizione dimora la sua riuscita estetica e la sua valenza etica. Quindi un’Arte che torna fra la gente, che chiama al dialogo, che non si fascia di sterili intellettualismi, che ancora affascina, emoziona, coinvolge.

Ed ecco “la parola dipinta” o “il quadro recitato”… ma queste ‘combinate’ possono venire applicate anche alla musica, all’architettura, al teatro, al cinema, e via così, fino alle discipline scientifiche, dilatando il potere dei linguaggi verbali e non verbali ponendoli sempre quali soggetti a interpretazione in maniera che questa intrinseca polisemia sia sfruttata in tutte le sue valenze.

Di seguito: si giunge a un’apertura alla pluralità della significazione che, oltre a procurare piacere, costringe il fruitore a uscire da una posizione di passività e non consegna una visione dogmaticamente stabilita del reale, spingendo “l’intelligenza semiotica” del ricettore alla continua decifrazione, senza quindi arrestarlo alla pura “letteralità” o al più scontato “realismo formale”.

Se non queste che ho indicato in sintesi, altre possibilità, a mio modesto avviso, non esistono al fine di ridare impulso alla nostra creatività (di matrice occidentale). Solo in questo modo il passato può essere riferimento, ma non zavorra, e il futuro progetto e non un dibattersi a vuoto, senza dimenticare l’oggi… il momento, quale “processo per cui la musica si scarica in immagini”, come sosteneva Nietzsche nella sua “La nascita della tragedia”.

Gian Ruggero Manzoni

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